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Il narghilè fa male? l'unico vero studio scientifico esistente

Narghilè Shisha
Il narghilè fa male? l'unico  vero studio scientifico esistente

La prima parte dell'unico serio lavoro universitario sugli effetti del narghilè 

Presentazione del narghilè e del suo uso

Presentazione del narghilè e del suo uso Guida critica della letteratura scientifica sul narghilè (shisha, hookah, waterpipe), dalle origini ai giorni nostri: necessità di un approccio interdisciplinare socio-antropologico, medico e farmacologico 

Riassunto:

Una prima rassegna di studi medici e farmacologici era stata realizzata dall’autore nell’ambito di una tesi di dottorato centrata su tutti gli aspetti del narghilè (socio-antropologico, storico e tabaccologico). In seguito al suo ritorno in voga negli anni ’80 e ’90 in Medio Oriente, il narghilè si è diffuso da qualche anno a livello mondiale. Così, nuovi studi hanno visto la luce. I risultati di questi studi sono tuttavia spesso inutilizzabili perché la maggior parte di essi non precisa se i volontari erano esclusivamente fumatori di narghilè, ex fumatori di sigarette che hanno smesso di fumare o che si sono convertiti al narghilè. Infatti, come hanno notato parecchi ricercatori in Turchia, i fumatori di narghilè – e in particolar modo coloro che ne sono dipendenti – appartengono a quest’ultima categoria. È spiacevole invece costatare che la maggior parte degli studi ignora sistematicamente alcune importanti ricerche di natura sociologica, etnologica e antropologica. Questo atteggiamento porta il più delle volte a interpretazioni frettolose, e di conseguenza, sbagliate ed assurde. Le discipline citate, grazie alla loro apertura verso il sapere, gli usi e le rappresentazioni umane, costituiscono invece un apporto euristico indispensabile per conoscere un oggetto e una prassi tanto “esotici”quanto complessi. In conclusione è importante studiare gli effetti del narghilè su fumatori esclusivi, i quali in passato non abbiano fatto uso di sigarette o di qualsiasi altra forma di tabacco (sigaro, pipa, bidi…). Vista la singolarità tabaccologica dei suoi meccanismi (nicotina, cotinina, aromi, interazione con il contesto socio-culturale), ma anche i diversi punti di vista che offre al ricercatore, il narghilè può essere utile nel far progredire la comprensione del fenomeno della dipendenza dalla sigaretta. Questa guida critica vuole essere un modesto contributo a tale obiettivo.

Parole chiave: narghilè, pipa ad acqua,hookah,shisha,hubble-bubble, tabacco,tabamel,tumbâk, jurâk, sociologia, antropologia, socio-antropologia, etnologia.

Struttura del documento in 4 parti:

 l’insieme di questa guida comporta un’introduzione generale seguita da 3 parti. La prima parte riguarda gli aspetti farmacologici del narghilè. La seconda tratta le patologie associate al suo uso. La terza ed ultima parte si interroga circa la dipendenza, la sanità pubblica e la prevenzione. Introduzione Circondato fino ad oggi da un’innegabile esotismo conferitogli soprattutto dalla pittura orientaleggiante, dagli anni ’90 il narghilè è improvvisamente diventato un oggetto sempre più conosciuto dal pubblico europeo ed americano, oggetto del quale si avevano però solo informazioni frammentarie e spesso aneddotiche, fino alla nostra pubblicazione di un primo libro (7) cui fa seguito, qualche anno dopo, nel 2000, una tesi di dottorato (4). Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 Reviews 41 Molto popolare in Asia, e soprattutto nel mondo arabo, il suo uso elevato era già notevole per un osservatore qualsiasi, senza tener conto del fenomeno attuale del suo ritorno in voga che si estende oramai al di là dei suoi confini naturali. In pratica, il narghilè si presenta in forme diverse, la più conosciuta delle quali è la shisha, apparecchio destinato principalmente al consumo di tabamel, una preparazione a base di tabacco aromatizzato e particolarmente odorifero. Il narghilè è formato da quattro elementi principali : fornello per il tabacco, asta di condotta del fumo, il recipiente dell’acqua e il tubo di aspirazione. Tenendo conto delle varianti ortografiche dei nomi dei diversi tipi di tabacco utilizzati, in alcune ricerche la loro distinzione non sempre è chiaramente definita. D’altro canto, molti individui possiedono una conoscenza locale o superficiale del narghilè, avendolo visto o conosciuto solo al di fuori del suo contesto, come avviene oggi in conseguenza della sua diffusione nel mondo. In quest’ultimo caso, e più precisamente in Europa e nelle Americhe, viene utilizzato un solo tipo di tabacco dei tre esistenti. Vediamoli rapidamente: • il Tabamel (in inglese “tobamel” o “molasses tabacco”) , il cui nome è costruito sulla stessa base di “idromele” , un composto a base di acqua e miele. Il nome latino di quest’ultima sostanza è “mel”. Tabamel corrisponde abbastanza fedelmente al nome arabo “mu’essel” che significa letteralmente “mielato” o “mieloso”, ed è chiamato così per la sua composizione a base di melassa o miele (fino al 70% contro il 30% di tabacco), che fungono da agglutinanti. • Il Tumbâk , tabacco puro, il più utilizzato del quale attualmente è lo “ ‘ajamy”, chiamato anche “tombeki” o “tutun” a seconda delle regioni, mentre in Turchia è impropriamente chiamato “jurâk”. Il suo livello di nicotina è più elevato rispetto al tabamel. • Il Jurâk può essere considerato un prodotto intermedio fra i primi due. Generalmente la sua consistenza è densa, il colore nerastro, ma non è aromatizzato. Secondo uno studio di Zarhan del 1982, la sua componente di tabacco sarebbe in un rapporto di 3 su 20, e fumarlo per quindici minuti produrrebbe un volume di fumo equivalente a quello di una sigaretta. Il primo tipo di tabacco e la corrispondente forma di narghilè, la shisha, sono attualmente quelli più utilizzati, e costituiscono l’oggetto di moda globale del momento a tal punto che alcuni usano il termine shisha per indicare il tipo di tabacco. Il tabamel contiene spesso delle essenze che gli conferiscono vari gusti e profumi: alla mela, alla fragola, all’albicocca, alla menta, etc. nonostante gli appassionati preferiscano i primi due o tre gusti. Un tabamel tunisino (Cheikh el-beled), ad esempio, ufficialmente venduto in Francia con il permesso della Dogana, reca sulla confezione da 50gr: 28% tabacco, 70% miele e zucchero di canna, 2% agenti strutturali; catrami 0,06%; nicotina 0,46%. In Asia, e soprattutto in Medio Oriente, la tradizione vuole che il tabamel sia utilizzato principalmente nelle città e goda del favore delle donne (vedere, per esempio, Yousser) e dei giovani. Al contrario, il tumbâk rimane essenzialmente un prodotto maschile. La storia del narghilè suscita sempre degli interrogativi ed è circondata da un alone di mistero. Abbiamo analizzato in dettaglio tutti questi aspetti (4,5). Si può fissare la data di inizio dell’uso sociale del narghilè su grande scala in concomitanza con l’apparizione dei caffè pubblici e l’utilizzo del tabacco. Al giorno d’oggi, le ipotesi più pertinenti attribuiscono al narghilè un’origine sudafricana, etiope o persiana. Alcuni storici del tabacco propongono anche un’origine europea. Questi pensano che, nel Mediterraneo, in Africa ed in Asia, il narghilè discenda dalla pipa americana,dopo la sua diffusione avvenuta grazie agli europei nel sedicesimo e diciassettesimo secolo. Se gli scavi archeologici iniziati in varie parti dell’Africa australe e orientale nel corso del ventesimo secolo continuassero in maniera sistematica, potrebbero portare alla luce le prove definitive dell’uso delle pipe ad acqua in questo continente molto prima del fatidico anno 1600, data che rappresenta la soglia critica e simbolica per coloro che avanzano l’ipotesi dell’origine europea. Il caso della grotta etiope dove sono stati rinvenuti dei fornelli per pipe ad acqua, e in cui l’uso di fumare la cannabis nel quattordicesimo secolo è stato confermato con metodi chimici, costituisce una prova in più in questa direzione. Numerosi colleghi indicano un’origine indiana del narghilè, citando come prova un breve studio di Kandela, il quale chiaramente non si basa su alcuna fonte concreta (12). Per diverse ragioni che non staremo ad approfondire, questa è una delle ipotesi più inverosimili. Ritorniamo invece alla moda attuale del narghilè, che per alcuni è una riscoperta (in Asia ed in Africa per esempio), mentre per altri rappresenta una novità (resto del mondo). Cronologicamente, l’apertura e lo sviluppo di locali neo-orientaleggianti avviene da circa una decina d’anni, in seguito alla maggiore circolazione degli uomini e delle merci. La pratica vera e propria del narghilè sembra prendere piede ed affermarsi al di là delle mode, perché antropologicamente fondata. Ne esistono motivazioni oggettive e soggettive : iniziamo con le prime. La globalizzazione è caratterizzata da un accelerato flusso migratorio e turistico, e dal loro incrociarsi. Per semplificare, Reviews Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 42 sempre più turisti ritornano con un narghilè (concentrato di esotismo) in valigia. Nelle loro città, ci sono sempre più locali neo-orientaleggianti dove imparano presto come usarlo. Vi sono altre ragioni che, sfortunatamente, non potremo sviluppare più avanti e sono: un nuovo tipo di carbone (auto-combustibile, e quindi più veloce da adoperare) utilizzato per riscaldare il tabamel; i non-fumatori non sono irritati dal suo fumo (vedere la questione dell’acroleina e dell’acetaldeide); le campagne antifumo colpiscono la sigaretta, al contrario della rappresentazione sanitaria positiva del narghilè; le sue particolarità farmacologiche e termodinamiche (considerato, a torto o a ragione, più sano della sigaretta dal punto di vista della quantità di nicotina, dei catrami, e della dipendenza, ecc.) Il caso mediorientale è diverso. Il ritorno in voga era iniziato già da qualche tempo con la diffusione del tabamel, mentre si praticava l’uso del narghilè già da molti secoli. Le persone invece fumavano soprattutto il tumbâk (tabacco puro), ed è utilizzato ancora oggi da una parte dei fumatori. Il tumbâk non è fumato invece nei paesi in cui il narghilè è una moda. Alcuni tentativi di spiegazione del fenomeno sono quindi riduttivi, se non addirittura sbagliati, come ad esempio lo “scenario” proposto da Rastam secondo cui la diffusione dei canali televisivi satellitari avrebbe reso popolare il narghilè (20). Pur ammettendo che la televisione abbia giocato un ruolo importante, è più probabile che la sua diffusione sia dovuta all’imponente industria cinematografica egiziana, che mette in scena fumatori di narghilè da molti decenni.Tale ostacolo interpretativo sottolinea l’importanza di affiancare un approccio socio-antropologico alle ricerche epidemiologiche e quantitative al fine di ottenere una diagnosi migliore. Per quanto concerne le ragioni soggettive di questo entusiasmo o nuova moda, è importante ricordarne prima di tutto la convivialità (parola – per gli anglofobi “ social use” – che ritorna sistematicamente nelle interviste ai fumatori di narghilè quando ne descrivono l’uso) specifica (diversa da quella del mondo del tè, del caffè, del sigaro e della pipa), unica e tridimensionale : i tempi lunghi della combustione del tabamel, lo scambio ludico (il tubo di aspirazione condiviso, il mormorio dell’acqua) e il suo riconosciuto ruolo di catalizzatore della conversazione. Altri fattori che intervengono in egual modo, sono l’aromatizzazione del tabamel, il forte simbolismo del “bell’oggetto” (esotismo, sogno, immaginario delle droghe il cui rituale ricorda le famose fumerie d’oppio) mistico e pacifico. A livello ideologico, qualcuno vi trova infine dei valori quali la condivisione, l’espressione libera della parola, fraternità e pace opposti a quelli della globalizzazione (individualismo, dittatura, censura e controllo, guerra, etc.) (6). Problemi metodologici Dopo questo breve panorama introduttivo, e prima di affrontare gli aspetti più tecnici, è importante ricordare due fattori importanti. Prima di tutto, nella maggior parte dei paesi del bacino del mediterraneo, dove si sono concentrate le ricerche del gruppo di Tessier (38), più del 45% degli uomini e del 15% delle Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 Reviews 43 donne sarebbero fumatori di sigarette. In secondo luogo, i limiti ed il difetto principale della maggior parte degli studi condotti fino ad oggi sta nel non tener conto del passato del fumatore di narghilè: non ha mai fumato sigarette? È un ex fumatore di sigarette o le ha semplicemente sostituite con il narghilè? Quest’ultimo tipo di fumatore è più esposto al rischio della dipendenza e all’assorbimento di quantità più elevate di sostanze che normalmente vengono diminuite dal narghilè. Tutti i ricercatori che si sono interessati al narghilè sono rimasti sorpresi, se non addirittura scoraggiati, dai diversi modi di definire nelle varie lingue sia l’oggetto che i suoi elementi principali (fornello, asta, vaso, tubo), i suoi numerosi accessori, i diversi modi di preparare il tabacco e i diversi modi di fare. Tale situazione porta spesso a fare confusione; ciò che i Turchi chiamano jurâk, per gli altri è tumbâk. A volte, uno studio pubblicato non fornisce nessuna informazione sul tipo di tabacco o carbone – naturale o “chimico”, cioè auto-combustibile – utilizzati. Non bisogna perciò stupirsi di fronte all’assenza di standardizzazione al momento della catalogazione dei documenti nei database internazionali. Solamente in ambito bibliografico, i buchi e i riferimenti mancanti sono molto dannosi per la qualità dei lavori. La necessità di un vocabolario generale condiviso è perciò evidente. Con alcuni colleghi di un gruppo internazionale, abbiamo raggiunto l’accordo di utilizzare, in inglese, il termine waterpipe come parola unica, eventualmente seguita fra parentesi dai termini : hookah, shisha, narghilè e qualsiasi altro nome dialettale (come “gûza” ad esempio). Rimane tuttavia il problema della dittatura dell’inglese e delle risorse egemoniche come Medline. I lavori di Salem e altri furono infatti ignorati a lungo perché, benché pubblicati in lingua inglese, erano apparsi su riviste scientifiche egiziane poco reperibili all’estero (22-32). Evoluzione e stato delle conoscenze sulla materia Prima del 1995 era difficile trovare un qualsivoglia articolo sul narghilè nei giornali e nelle riviste scientifiche. Paradossalmente, oggi è quasi fastidioso e imbarazzante recensire l’abbondanza di testi scritti al riguardo sui giornali e sulle riviste indiane, del Medio Oriente, del Stati Uniti, dell’ Australia, della Russia, ecc.Tutta questa letteratura altro non è che il riflesso dell’interesse per la moda recente. Non si tratta in nessun caso di ricerca. Nell’ambito della critica presente e per quel che ci riguarda, non prenderemo in considerazione i lavori che rientrano nella sfera socioantropologica e storica del narghilè. Vi è già stato dedicato un lavoro esaustivo (4,5) e, a quel che ci risulti, non vi sono nuove ricerche in corso. I nostri lavori e, in particolar modo, la tesi di dottorato (4,5,7,8,9) hanno un approccio globale e multidisciplinare (sociologico, antropologico, storico e tabaccologico) all’oggetto della presente rassegna e al suo uso, nel tempo e nello spazio. Prima non esisteva alcuno studio che fosse appena un pò più sostanziale. In questa rassegna, stiliamo una prima guida critica agli studi scientifici condotti fra gli anni ’60 e il 2000. A partire da questa data, che corrisponde anche al forte ritorno alla moda del narghilè nel mondo, studi medici e farmacologi cominciano a moltiplicarsi. E sulla scia della Conferenza Mondiale sul Tabacco (Helsinki, 2000), questa evoluzione significa una presa di coscienza, ancorché marginale, della comunità dei ricercatori. Il fenomeno è inoltre sempre più “visibile”, nonostante alcuni continuino a prenderne coscienza solo nel proprio paese, ignorando deliberatamente cosa avviene nel resto del mondo. Questa nuova realtà è mondiale, e ciò che si osserva all’interno del proprio paese è soltanto, usando una metafora comune, la “punta dell’iceberg”. Gli studi di molte équipe di ricercatori dagli anni ’60 agli anni ’80 meritano di essere menzionati ancora oggi perché vengono considerati dei punti di riferimento. • Rakower si era interessato a popolazioni di fumatori di narghilè (tumbâk) presso i quali il tasso di insorgenza di cancro ai polmoni era più basso rispetto a quello dei loro concittadini. Misurò il livello di filtraggio dei catrami paragonandolo a quello della sigaretta. Le cifre verranno fornite nelle sezioni di questo documento a loro riservate (19). • Hoffmann paragonò fra loro la concentrazione dei componenti (fase corpuscolare, nicotina, benzopirene e fenoli) del fumo di una sigaretta di 85 mm, di due tipi di sigari, di una pipa riempita con il suo tipo di tabacco e di un’altra riempita con tabacco di sigaretta, e infine di un narghilè siriano di tipo shisha con tabacco tumbâk. 2,2 gr di tumbâk umidificato al 13,1% furono utilizzati nel fornello. I test furono condotti con (650ml) e senza acqua nel vaso. Furono registrate 2 boccate di 35ml al minuto della durata di 2 secondi ciascuna. Anche questi dati verranno presentati più avanti (11). • Salem ha condotto un numero impressionante di esperimenti sul gûza, narghilè egiziano di piccole dimensioni con un tubo di aspirazione rigido, nel quale viene consumato del tabamel/jurâk in un fornello più piccolo (“korsi”). Il peso del tabacco corrisponderebbe, secondo il ricercatore, a quello di una sigaretta. Ritorneremo su Salem, e più specificatamente nella sezione dedicata agli aspetti pneumologici dell’uso del narghilè (22-32). Una ventina d’anni fa si tenne un Congresso medico sul narghilè (Maalej), Narghile in Turchia, 1997 Reviews Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 44 unico nel suo genere, ma sfortunatamente disponiamo solo di informazioni parziali a que-sto riguardo, riportate da El Garbi (10). È importante citare infine una recente guida bibliografica che spesso si riduce a citare gli “abstracts” degli studi che vi sono presentati (18). Questo metodo si discosta completamente dal nostro, che è lo stesso della nostra tesi (4,5). Il nostro approccio è di tipo informativo ma anche critico primariamente nei confronti della metodologia adottata negli studi condotti dagli uni e dagli altri e, in secondo luogo, verso i limiti interpretativi che essi stessi creano. Non affronteremo gli aspetti ideologici. Lo studio menzionato ignora anche lavori importanti quali quelli realizzati dagli autori all’interno del proprio ambito professionale; è questo l’esempio della tesi di Bakir (1) che abbiamo avuto la fortuna di leggere nella traduzione e presentazione a cura di Chafei (3). Tale documento ha il pregio di rendere nota una letteratura poco accessibile, ossia quella dei ricercatori egiziani che lavorano su questo tema fin dagli anni ’70, ma che sono stati praticamente ignorati dai loro colleghi fino ad oggi. Questo è anche il caso di Salem (22-32). Di conseguenza, ci siamo rivolti a questa guida per recuperare i riassunti di alcuni studi egiziani introvabili nelle biblioteche internazionali e, per ogni caso, ne abbiamo citato chiaramente la fonte secondaria : Radwan (18). Segnalazioni recenti Vi sono quattro studi recenti che fanno qualche passo avanti : • Macaron (15) e Shafagoj (33). ). Questi due studi, in ambito fisio-farmacologico legato a nicotina e cotinina, hanno il pregio di essersi interessati a fumatori esclusivi di narghilè. Sono stati coerentemente esclusi dal campione i fumatori misti di sigarette e narghilè, e invece sono stati inclusi fumatori che forse hanno un passato di fumatori di sigarette e coloro che un giorno hanno sostituito la sigaretta con il narghilè. Il primo studio riguarda solo la cotinina urinaria in soggetti fumatori di tumbâk, mentre il secondo studio è più completo in quanto affronta l’analisi della cotinina e nicotina ematica, salivare e urinaria. A differenza del primo studio, il secondo riguarda il tabamel, ignorandolo peraltro nella bibliografia. • Kiter (13), in ambito pneumologico, si è reso illustre arrivando a risultati inattesi: gli effetti negativi della pipa ad acqua sulle funzioni polmonari sono meno gravi di quelli causati dalle sigarette. Il ricercatore in questo studio ha utilizzato il tumbâk, chiamato invece dai Turchi jurâk, cioè con il nome di una delle altre tipologie di tabacco per narghilè. L’interesse dello studio sta nel fatto che lo specialista si è recato in tutti i caffè della città di Izmir, dove viene servito il narghilè tradizionale. 397 uomini di età compresa fra i 18 e gli 85 anni si sono prestati alla ricerca. Di altro grande interesse è la giusta ripartizione dei gruppi a seconda della tipologia di fumatori presenti nei caffè visitati. Il primo gruppo era composto da fumatori di sigarette, il secondo da non fumatori e il terzo da fumatori di narghilè. Il quarto gruppo era invece formato da fumatori di narghilè che avevano smesso di fumare sigarette. Come dice giustamente Kiter – ma anche Onder più in là – i fumatori turchi di narghilè si danno all’uso di quest’ultimo quando un giorno decidono di non fumare più sigarette (illusione di automedicazione). • Shihadeh (36) si è prefisso di analizzare, con l’aiuto di uno strumento pneumatico, i componenti del flusso primario del fumo di un narghilè funzionante con del normale tabamel e alcuni aspetti termodinamici. Questo studio mette in risalto la temperatura relativamente molto bassa di combustione-distillazione del tabamel paragonata a quella di una sigaretta. Ogni seduta comprendeva 100 boccate di fumo di 0,3 litri ciascuna della durata di 3 secondi e distanziate 30 secondi l’una dall’altra. Tali parametri evidentemente non rispecchiano la realtà, poiché nessun essere umano respira il fumo in misura e proporzioni così regolari. Da qui il progetto del ricercatore di mettere a punto uno strumento pneumatico che sia in grado di riprodurre in laboratorio, prendendo spunto da un’analisi topografica, delle condizioni di fumata più corrispondenti alla realtà (37). Il tipo di carbone utilizzato nello studio è a “combustione rapida” , il quale contiene forse dei prodotti ossidati a base di petrolio. Se questo tipo di carbone viene generalmente utilizzato in Europa e nelle Americhe per motivi pratici, tradizionalmente non viene invece usato in Medio Oriente. Qui infatti si utilizza il carbone Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 Reviews 45 derivante dal legno naturale (ulivo, limone, ecc.) che si ottiene mediante un braciere (kânûn). Si fa ricorso al carbone auto-combustibile per comodità nei caffè e nei locali alla moda nel mondo. Questa è una delle motivazioni che spiega l’ impressionante diffusione mondiale del narghilè negli ultimi otto anni. La preparazione dell’apparecchio si semplifica in maniera considerevole. Per motivi propri ai diversi stili di vita, l’accensione preliminare del braciere e la manutenzione delle braci sono infatti operazioni irrealizzabili in Europa e in America del Nord. In Africa ed in Asia questo non è mai stato un problema. D’altro canto, in queste zone le persone non usano questo tipo di carbone, che viene considerato nocivo ed è soprannominato “chimico”. Shihadeh ha impiegato questo tipo di carbone per la praticità della standardizzazione delle misure: dimensioni e peso sono note prima dell’esperimento. È importante perciò ricordare che i risultati di questa ricerca sono relativi al tabamel riscaldato con questo tipo di carbone. Sarebbe quindi coerente essere in possesso di dati dello stesso tipo riguardanti altri tipi di tabacco e di carbone, a cominciare dal tumbâk . Le quantità rilevate di nicotina, catrami e altre sostanze, come i metalli pesanti, potrebbero permettere una migliore interpretazione grazie alla loro comparazione. Prima di concludere questo excursus, che si riaprirà sugli aspetti fisio-farmacologici del narghilè, è doveroso segnalare che, in ambito epidemiologico, sono stati pubblicati diversi studi negli ultimi due anni. Essi riguardano principalmente Egitto, Libano e Siria , che saranno presi in esame nelle successive parti della rassegna. In Siria, infine, è stato recentemente avviato un primo approccio allo studio della dipendenza al narghilè. Conclusione Il narghilè è una forma d’uso del tabacco che, a causa della sua antichità e della tradizione che lo accompagnano, ma soprattutto in ragione delle sue singolarità farmacologiche e termodinamiche, è in continuo sviluppo per diversi motivi: uno di essi, che ci interessa in modo specifico, è la dimostrazione da parte della comunità internazionale dei ricercatori della catastrofe sociale e sanitaria causata dal tabagismo di sigaretta nell’ultimo secolo. Infatti, il lavaggio e il raffreddamento del fumo non sono solo un filtro ideale, ma costituiscono anche un aspetto interessante per il ricercatore. Nonostante il narghilè non sia fornito di un filtro in acetato di cellulosa come la sigaretta, il suo filtro ad acqua e il sistema di riscaldamento del tabacco eliminano ugualmente un certo numero di sostanze, alcune delle quali cancerogene. Il narghilè riduce o evita la formazione dell’acroleina, dell’acetaldeide, di alcuni idrocarburi aromatici policiclici e dei radicali liberi. Il raffreddamento della temperatura del fumo e il riscaldamento del tabacco – di centinaia di gradi inferiore a quello di una sigaretta – fanno sì che i catrami, benché filtrati in maniera insufficiente, siano meno cancerogeni (19, 11). Quanto alla nicotina, se l’acqua non fosse presente, il fumatore ne assorbirebbe fino a delle quantità 7 o 9 volte superiori. In una seduta di 45/60 minuti, la quantità di nicotina inalata a ritmo sostenuto da un solo fumatore si avvicina a quella di una normale sigaretta. Il narghilè d’altro canto, in virtù del passaggio del fumo nell’acqua, elimina le sostanze irritanti per le alte e basse vie respiratorie. Ciò è molto importante. Bisogna infine sottolineare che questo uso del tabacco presenta una certa difesa dissuasiva contro il rischio di un rapido sviluppo di dipendenza. Questa difesa è costituita da tutta l’organizzazione tecnicologistica che una seduta di narghilè comporta, dalla preparazione al consumo. Queste difese sono costituite dall’organizzazione di una seduta, dalla preparazione e dalla consumazione, ossia dalla disposizione del materiale che richiede del tempo. Inoltre, a causa della dimensione socio-culturale, il fumatore di narghilè raramente si trasforma in un fumatore di sigaretta.A ciò si aggiungono anche motivi farmacologici e sanitari, che rendono più evidente l’estraneità del mondo del narghilè rispetto a quello della sigaretta. Il narghilè cambia considerevolmente a seconda della forma, della grandezza, del tipo di tabacco e del modo di riscaldarlo, da un paese all’altro anche se limitrifi, come l’Egitto e la Giordania. Questi dati meritano di essere studiati seriamente all’interno di un quadro metodologico altrettanto serio. Ricapitoliamo quindi i principali consigli e requisiti che ogni ricerca sul narghilè dovrebbe avere perché possa avere il crisma della significatività scientifica: • Informare su che tipo di fumatori compongono il campione della ricerca: fumatori, non fumatori o ex- fumatori di sigarette (o altri prodotti – vedi il caso modello dell’India) che hanno poi intrapreso l’uso del narghilè. L’ideale sarebbe condurre gli studi su fumatori esclusivi di narghilè recenti o di lunga data. • Evitare di sondare, particolarmente nel caso degli studi epidemiologici, il grado di conoscenza, apparentemente fonda- Reviews Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 46 to, che possederebbero le persone intervistate, basandosi su domande relative a fatti che non sono stati confermati con il necessario rigore scientifico. Un esempio di questa grave tendenza è dato da Chaaya 2004 (2). Questo studio comprende una tabella statistica sull’esattezza delle risposte date da alcuni studenti a domande del genere: “l’uso del narghilè ha legami con il cancro della cavità orale: vero o falso?,“l’uso del narghilè è legato alla comparsa di ulcere: vero o falso?” e ancora: “Il narghilè contiene metalli pesanti: vero o falso?”. Come abbiamo sottolineato in questo studio, le ricerche che sottendono questi interrogativi non permettono, nei primi due casi, di dare la responsabilità, anche indiretta, al narghilè per l’insorgere di quelle patologie. Per quel che riguarda i “metalli pesanti”, lo studio in oggetto faceva riferimento ad un particolare tipo di carbone la cui natura non è stata specificata agli intervistati, e che non sempre era quello che dovevano immaginarsi. Malauguratamente, gli autori di numerosi studi considerano questi fatti come definitivi e assodati, e li citano senza accompagnarli da commenti pertinenti. In altri ambiti, molti fra loro affermano e ripetono che il narghilè è di origine indiana senza assumere una posizione critica nei confronti delle loro fonti. • Rendere esplicite, anche nel riassunto, le condizioni della ricerca, spesso considerate di minore importanza. Ad esempio : prima di giungere alla conclusione che il narghilè produce un forte rischio di insorgenza di cancro ai polmoni, rivedere o rispondere alla raccomandazione precedente. Il tipo di ambiente e il suo inquinamento dovrebbero essere considerati in egual modo rispetto alla dieta alimentare dei pazienti, all’eventuale carenza di alcuni elementi di base, ecc. • Descrivere dettagliatamente l’attività dei fumatori: alcuni inalano profondamente il fumo, altri fumatori poco o per niente. Tutto questo ha un’importanza fondamentale. • Indicare il tipo di tabacco utilizzato: tabamel, jurâk, tumbâk. • Il modo di riscaldare il tabacco: carbone “chimico” auto-combustibile, carbone naturale (precisare il tipo di legno), escrementi secchi di animali, ecc. In Pakistan sono state fatte preziose scoperte da Sajid sull’influenza del tipo di tabacco e di carbone sulla produzione di CO (35). • Quando si tratta di tabamel , bisogna descrivere accuratamente il rivestimento di alluminio, il suo orientamento (ha un lato brillante trattato, e un altro non trattato che ricopre il fornello) e le sue perforazioni. • Tenendo conto dell’elevata complessità del narghilè, il cui miglior punto di vista si trova fra l’ambito medico e quello culturale, evitare, per quanto possibile, i paragoni frettolosi con la sigaretta. Il mondo della sigaretta e il mondo del narghilè sono perfettamente estranei l’uno all’altro. Avvicinarli è una tendenza riduttiva, e non scientifica. • per fini bibliografici, e per facilitare lo scambio fra i ricercatori, utilizzare un vocabolario standard: in francese “narguilè”, “narghilè” ,“shisha” ( non “chicha”),“pipe à eau”; in inglese:“narghilè” (e non “argileh”, “nargileh”, ecc.), “hookah” invece di “hooka”,“waterpipe” (in una sola parola e senza trattino), “shisha” ( e non “sheesha”), evitare “hubble-bubble”. Precisare inoltre che la “gûza” (e non “goûza” o “goza”) è una varietà locale del narghilè (Egitto) e descriverlo. Lo stesso vale per i suoi componenti: a cosa serve utilizzare la parola “korsi” se non si spiega che si tratta del nome locale del contenuto del fornello di un particolare tipo di narghilè egiziano (la “gûza”. Quante bibliografie ignorano importanti studi come quelli di Rakower, Hoffmann e Salem a causa di queste imprudenze? • Evitare di citare gli articoli giornalistici per illustrare la moda mondiale in corso: prendere invece come riferimento i lavori di tipo socio-antropologico sulla materia. La ricerca nell’ambito di queste discipline, a causa della loro apertura su tutti i campi del sapere, degli usi e delle rappresentazioni umane, è ricca di insegnamenti su questo oggetto esotico, sviando i ricercatori più entusiasti e disorientando quelli più coraggiosi. Economizzare in questo ambito, porta a conclusioni errate se non assurde. In ragione della singolarità tabaccologica dei suoi meccanismi (nicotina, coti-nina, aromi, interazione con il contesto socio-culturale), ma anche dei diversi punti di vista che offre al ricercatore, il narghilè può essere prima di tutto d’aiuto nella comprensione del fenomeno della dipendenza alla sigaretta. Questa guida critica vuole essere un modesto contributo a tale obiettivo. Traduzione: Michela Perito, laureata in lingua e letteratura francese - Dipartimento di lingue e lettera