Narghilè e salute : la seconda parte che è anche una breve premessa
Circondato fino ad oggi da un’innegabile esotismo conferitogli soprattutto dalla pittura orientaleggiante, dagli anni ’90 il narghilè è improvvisamente diventato un oggetto sempre più conosciuto dal pubblico europeo ed americano, oggetto del quale si avevano però solo informazioni frammentarie e spesso aneddotiche, fino alla nostra pubblicazione di un primo libro (7) cui fa seguito, qualche anno dopo, nel 2000, una tesi di dottorato (4). Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 Reviews 41 Molto popolare in Asia, e soprattutto nel mondo arabo, il suo uso elevato era già notevole per un osservatore qualsiasi, senza tener conto del fenomeno attuale del suo ritorno in voga che si estende oramai al di là dei suoi confini naturali. In pratica, il narghilè si presenta in forme diverse, la più conosciuta delle quali è la shisha, apparecchio destinato principalmente al consumo di tabamel, una preparazione a base di tabacco aromatizzato e particolarmente odorifero. Il narghilè è formato da quattro elementi principali: fornello per il tabacco, asta di condotta del fumo, il recipiente dell’acqua e il tubo di aspirazione. Tenendo conto delle varianti ortografiche dei nomi dei diversi tipi di tabacco utilizzati, in alcune ricerche la loro distinzione non sempre è chiaramente definita. D’altro canto, molti individui possiedono una conoscenza locale o superficiale del narghilè, avendolo visto o conosciuto solo al di fuori del suo contesto, come avviene oggi in conseguenza della sua diffusione nel mondo. In quest’ultimo caso, e più precisamente in Europa e nelle Americhe, viene utilizzato un solo tipo di tabacco dei tre esistenti. Vediamoli rapidamente: • il Tabamel (in inglese “tobamel” o “molasses tabacco”) , il cui nome è costruito sulla stessa base di “idromele” , un composto a base di acqua e miele. Il nome latino di quest’ultima sostanza è “mel”. Tabamel corrisponde abbastanza fedelmente al nome arabo “mu’essel” che significa letteralmente “mielato” o “mieloso”, ed è chiamato così per la sua composizione a base di melassa o miele (fino al 70% contro il 30% di tabacco), che fungono da agglutinanti. • Il Tumbâk , tabacco puro, il più utilizzato del quale attualmente è lo “ ‘ajamy”, chiamato anche “tombeki” o “tutun” a seconda delle regioni, mentre in Turchia è impropriamente chiamato “jurâk”. Il suo livello di nicotina è più elevato rispetto al tabamel. • Il Jurâk può essere considerato un prodotto intermedio fra i primi due. Generalmente la sua consistenza è densa, il colore nerastro, ma non è aromatizzato. Secondo uno studio di Zarhan del 1982, la sua componente di tabacco sarebbe in un rapporto di 3 su 20, e fumarlo per quindici minuti produrrebbe un volume di fumo equivalente a quello di una sigaretta. Il primo tipo di tabacco e la corrispondente forma di narghilè, la shisha, sono attualmente quelli più utilizzati, e costituiscono l’oggetto di moda globale del momento a tal punto che alcuni usano il termine shisha per indicare il tipo di tabacco. Il tabamel contiene spesso delle essenze che gli conferiscono vari gusti e profumi: alla mela, alla fragola, all’albicocca, alla menta, etc. nonostante gli appassionati preferiscano i primi due o tre gusti. Un tabamel tunisino (Cheikh el-beled), ad esempio, ufficialmente venduto in Francia con il permesso della Dogana, reca sulla confezione da 50gr: 28% tabacco, 70% miele e zucchero di canna, 2% agenti strutturali; catrami 0,06%; nicotina 0,46%. In Asia, e soprattutto in Medio Oriente, la tradizione vuole che il tabamel sia utilizzato principalmente nelle città e goda del favore delle donne (vedere, per esempio, Yousser) e dei giovani. Al contrario, il tumbâk rimane essenzialmente un prodotto maschile. La storia del narghilè suscita sempre degli interrogativi ed è circondata da un alone di mistero. Abbiamo analizzato in dettaglio tutti questi aspetti (4,5). Si può fissare la data di inizio dell’uso sociale del narghilè su grande scala in concomitanza con l’apparizione dei caffè pubblici e l’utilizzo del tabacco. Al giorno d’oggi, le ipotesi più pertinenti attribuiscono al narghilè un’origine sudafricana, etiope o persiana. Alcuni storici del tabacco propongono anche un’origine europea. Questi pensano che, nel Mediterraneo, in Africa ed in Asia, il narghilè discenda dalla pipa americana,dopo la sua diffusione avvenuta grazie agli europei nel sedicesimo e diciassettesimo secolo. Se gli scavi archeologici iniziati in varie parti dell’Africa australe e orientale nel corso del ventesimo secolo continuassero in maniera sistematica, potrebbero portare alla luce le prove definitive dell’uso delle pipe ad acqua in questo continente molto prima del fatidico anno 1600, data che rappresenta la soglia critica e simbolica per coloro che avanzano l’ipotesi dell’origine europea. Il caso della grotta etiope dove sono stati rinvenuti dei fornelli per pipe ad acqua, e in cui l’uso di fumare la cannabis nel quattordicesimo secolo è stato confermato con metodi chimici, costituisce una prova in più in questa direzione. Numerosi colleghi indicano un’origine indiana del narghilè, citando come prova un breve studio di Kandela, il quale chiaramente non si basa su alcuna fonte concreta (12). Per diverse ragioni che non staremo ad approfondire, questa è una delle ipotesi più inverosimili. Ritorniamo invece alla moda attuale del narghilè, che per alcuni è una riscoperta (in Asia ed in Africa per esempio), mentre per altri rappresenta una novità (resto del mondo). Cronologicamente, l’apertura e lo sviluppo di locali neo-orientaleggianti avviene da circa una decina d’anni, in seguito alla maggiore circolazione degli uomini e delle merci. La pratica vera e propria del narghilè sembra prendere piede ed affermarsi al di là delle mode, perché antropologicamente fondata. Ne esistono motivazioni oggettive e soggettive: iniziamo con le prime. La globalizzazione è caratterizzata da un accelerato flusso migratorio e turistico, e dal loro incrociarsi. Per semplificare, Reviews Chaouachi K., Tabaccologia 2005; 1: 39-47 42 sempre più turisti ritornano con un narghilè (concentrato di esotismo) in valigia. Nelle loro città, ci sono sempre più locali neo-orientaleggianti dove imparano presto come usarlo. Vi sono altre ragioni che, sfortunatamente, non potremo sviluppare più avanti e sono: un nuovo tipo di carbone (auto-combustibile, e quindi più veloce da adoperare) utilizzato per riscaldare il tabamel; i non-fumatori non sono irritati dal suo fumo (vedere la questione dell’acroleina e dell’acetaldeide); le campagne antifumo colpiscono la sigaretta, al contrario della rappresentazione sanitaria positiva del narghilè; le sue particolarità farmacologiche e termodinamiche (considerato, a torto o a ragione, più sano della sigaretta dal punto di vista della quantità di nicotina, dei catrami, e della dipendenza, ecc.) Il caso mediorientale è diverso. Il ritorno in voga era iniziato già da qualche tempo con la diffusione del tabamel, mentre si praticava l’uso del narghilè già da molti secoli. Le persone invece fumavano soprattutto il tumbâk (tabacco puro), ed è utilizzato ancora oggi da una parte dei fumatori. Il tumbâk non è fumato invece nei paesi in cui il narghilè è una moda. Alcuni tentativi di spiegazione del fenomeno sono quindi riduttivi, se non addirittura sbagliati, come ad esempio lo “scenario” proposto da Rastam secondo cui la diffusione dei canali televisivi satellitari avrebbe reso popolare il narghilè (20). Pur ammettendo che la televisione abbia giocato un ruolo importante, è più probabile che la sua diffusione sia dovuta all’imponente industria cinematografica egiziana, che mette in scena fumatori di narghilè da molti decenni.Tale ostacolo interpretativo sottolinea l’importanza di affiancare un approccio socio-antropologico alle ricerche epidemiologiche e quantitative al fine di ottenere una diagnosi migliore. Per quanto concerne le ragioni soggettive di questo entusiasmo o nuova moda, è importante ricordarne prima di tutto la convivialità (parola – per gli anglofobi “ social use” – che ritorna sistematicamente nelle interviste ai fumatori di narghilè quando ne descrivono l’uso) specifica (diversa da quella del mondo del tè, del caffè, del sigaro e della pipa), unica e tridimensionale: i tempi lunghi della combustione del tabamel, lo scambio ludico (il tubo di aspirazione condiviso, il mormorio dell’acqua) e il suo riconosciuto ruolo di catalizzatore della conversazione. Altri fattori che intervengono in egual modo, sono l’aromatizzazione del tabamel, il forte simbolismo del “bell’oggetto” (esotismo, sogno, immaginario delle droghe il cui rituale ricorda le famose fumerie d’oppio) mistico e pacifico. A livello ideologico, qualcuno vi trova infine dei valori quali la condivisione, l’espressione libera della parola, fraternità e pace opposti a quelli della globalizzazione (individualismo, dittatura, censura e controllo, guerra, etc.)